4 febbraio 2019

Oratori  Matteo Gherghetta e Lucia Bellaspiga presentati da Alberto Gatteschi promotore dell’evento.

 

Per comprendere appieno le ragioni per le quali il Parlamento italiano istituì, con la legge n° 92 del 30 marzo 2004, il “Giorno del Ricordo”, che, celebrato ogni anno il 10 febbraio, rievoca l’esodo di 350000 Italiani dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia, é necessario rammentare, sia pur sommariamente, eventi cruciali del ventesimo secolo.

La Prima Guerra Mondiale terminò con l’annessione di Trieste, Gorizia, Istria, Zara e Fiume al Regno d’Italia: era così frustrato sia il progetto di creare all’interno del disintegrato impero asburgico una componente slava che avesse il controllo di queste zone mistilingue nell’ambito di un riassetto federalista (Impero austro-ungarico-slavo) sia il proposito di inglobare queste province, comprese le località in cui gli Italiani rappresentavano la maggioranza della popolazione, nel neonato Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (denominato Iugoslavia nel 1929).

La Seconda Guerra Mondiale investì la Jugoslavia nell’aprile 1941, allorché le truppe italo-tedesche sconfissero rapidamente il regno dei Karadeordevich, incontrando il favore di collaborazionisti locali (in particolare gli Ustascia croati di Ante Pavelich). La resistenza iugoslava agli occupanti aveva due anime: una comunista, guidata da Tito,e una nazionalista, I Cetnici; l’una auspicava, a Guerra finite, una nuova Iugoslavia socialista e federale, l’altra la restaurazione della monarchia serba. Le due fazioni cominciarono presto a combattersi e I nazionalisti collaborarono con le truppe italiane in funzione anti-comunista. L’attività partigiana dei seguaci di Tito si dimostrò sempre più efficace: attentati, imboscate, assalti a presidi isolati comportarono la reazione e la rappresaglia delle truppe regolari, aumentando, da una parte, l’avversione, nei confronti degli Italiani, dell’incolpevole popolazione civile, atterrita da deportazioni, fucilazioni e incendi di villaggi e accrescendo, dall’altra, la simpatia per la resistenza comunista. Si giunse così alle tragiche giornate successive all’8 settembre   e all’eccidio di decine di persone (italiane), I cui resti furono in seguito recuperati nelle foibe istriane. Il controllo tedesco sulle province di Udine, Gorizia, Trieste, Lubiana, Pola, Fiume, esasperò la repressione antipartigiana. Tito era ormai riconosciuto dagli anglo-americani come il leader della lotta antinazista nella Iugoslavia occupata. Il 30 aprile 1945 il Comitato di Liberazione Nazionale di Trieste scatenò l’insurrezione antinazista, costringendo le truppe tedesche ad asserragliarsi in alcune postazioni difensive in attesa di arrendersi a un esercito regolare; l’indomani , però, arrivarono nel capoluogo giuliano le truppe del IX corpo dell’esercito di liberazione nazionale iugoslavo, che esautorarono i comandi partigiani italiani e dichiararono l’annessione unilaterale. Quaranta giorni di terrore colpirono la Venezia Giulia e Fiume, provocando un numero ancora indefinite di vittime da parte di coloro che Palmiro Togliatti aveva definito “liberatori”. Tale indeterminatezza é dovuta al fatto che ex-fascisti, militari della RSI arresisi, esponenti della resistenza patriottica e la potenziale classe dirigente autoctona, capace di organizzare un’opposizione democratica al progetto annessionistico, furono spietatamente eliminati in molteplici modi (buttati nelle foibe, annegati, fucilati, morti di stento in campi di concentramento). Nel territorio sotto controllo iugoslavo si sviluppò un sempre più evidente processo di annessione e proseguì la persecuzione dell’elemento italiano,che cercava di opporsi. Il confine stabilito a Parigi il 10 febbraio 1947 assegnò alla Iugoslavia comunista l’Istria, Fiume, Zara e l’entroterra di Gorizia e Trieste. Nelle terre cedute migliaia di giuliani, fiumani e dalmati optarono per la cittadinanza italiana e abbandonarono le terre in cui vivevano da secoli.


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Di Riccardo Santoro

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