Regnava uno stato di contenuta gaiezza, e di curiosa aspettativa sottopelle, tra la trentina di uomini raccolti, in uno dei primi giorni del giugno 1978, nella cosiddetta Camera a Gas (così chiamata – alla faccia dei rischi – perché ancora illuminata in questa anacronistica seppur romantica maniera) del Circolo della Stampa di Milano.
In generale, avevano, o sembravano avere, poche cose in comune. Alcuni si conoscevano tra loro da lungo tempo. Più d’uno era virtualmente sconosciuto. Di altri ancora si era letto più o meno sui giornali (o per dire più esattamente, sul Giornale, perché il quotidiano di Montanelli aveva in sala una schiacciante maggioranza: e del resto tra i convenuti c’era la mente commerciale stessa del gruppo montanelliano, Gianfausto Ferrauto).
La media d’età era intorno ai quaranta / quarantacinque, ma non mancavano membri molto più anziani, a cominciare dallo stesso Italo Martina. Uno di questi, Ignazio Chevallard, era – meritatamente –  il più giovane rotariano d’Italia Tutti mostravano un cameratismo non meno vero per il fatto di essere recente, e in alcuni casi ancora più forzato che spontaneo. In realtà ciò che li univa era un unico scopo: la fondazione di un nuovo club Rotary sul territorio cittadino.
Non era, come si potrebbe pensare oggi, una sinecura, o quasi. Il Rotary era già ben conosciuto nella metropoli milanese, sua culla originaria in Italia. Enzo Biagi soleva dire che era impossibile pranzare in un ristorante di Palermo senza trovarsi accanto a un mafioso o a Milano senza incontrare un rotariano. A parte il non proprio felice accostamento, almeno per i rotariani, era difficile trovare, reclutare e motivare un discreto numero di persone di valore (tutte donne: i problemi di genere erano ben lontani dalle coscienze di allora) che avessero i requisiti necessari. Ci voleva l’intuito affinato dalla pratica di un club maker accanito come Italo Martina per sobbarcarsi la selezione, l’amalgama, le strutturazioni necessarie per mettere in piedi un club del tutto nuovo.
Un club – e su questo Martina, dietro la sua maschera eternamente sorridente, non faceva sconti – che avesse la possibilità di ampliarsi e articolarsi mantenendo e rinforzando le tradizioni rotariane, così da garantire il futuro del Rotary. Ricordava moltissimo l’altro “grande vecchio” del Rotary: Ardito Desio. E in effetti furono in gran parte questi due con l’aiuto dietro le quinte di Piero Portaluppi, eterno preside della Facoltà di Architettura, che conosceva e poteva veramente contattare tutti, ma proprio tutti, che contassero nella metropoli ambrosiana, e anche all’estero. Ulcerato dalla perdita del figlio amatissimo (guardiamarina, affondato con la sua nave nel Mediterraneo) si era buttato capo e collo nel bene fatto a nome del giovane ufficiale.
Su questo settore, comunque, Martina poteva dormire tra due guanciali. Non solo il nuovo club Rotary Milano Aquileia esordì con il “botto”, acquistando, grazie a un contributo complessivo di ben 324 milioni, messo insieme da soci e da istituzioni sollecitate dai soci, di  un allora rarissimo tomografo per l’effettuazione delle TAC e regalandolo all’Istituto Italiano dei Tumori, ma dimostrò che anche un club singolo e di recente fondazione era capace di “tirare fuori”, se ben motivato.
È vero che il Rotary Milano Aquileia poteva vantare tra i suoi membri una galleria di personaggi che sarebbe oggi impensabile riunire: Giancarlo Caramanti era uno degli uomini di punta e di maggiore valore della SNIA e del gruppo che ad essa facesse capo. Oreste Genzini era un imprenditore di punta nel  campo della prestampa, e di tutte le tecniche collaterali. Livio Manenti dirigeva la ditta paterna a Brescia, e contemporaneamente era titolare di un’affermata agenzia di marketing a Milano. Giovanni  Mangione era a capo del TAR della Lombardia. Aldo Mondina era un pilastro del Politecnico. Roberto Ruozi sarebbe diventato rettore della Bocconi, e poi presidente del Touring. Luigi Piceci aveva un importante studio di commercialista. Tanto per citare i primi che mi vengono in mente: e ci perdonino gli esclusi.
Questa partenza lasciò un’impronta forte nel Club, che fin dall’inizio si abituò a pensare in grande, «gettando il cuore oltre l’ostacolo», in imprese apparentemente impossibili, ma che puntualmente andavano in porto. Un elenco dettagliato sarebbe impossibile, e per molti versi distraente (e qui incontriamo il grande difetto dell’Aquileia, la perdita o distrazione della sua memoria, così che anche iniziative di grande valore e peso non hanno più, oggi, adeguata rappresentazione – e non ne avrebbero alcuna – se alcuni soci previdenti non ne avessero salvato in tutto o in parte la documentazione). Tuttavia ciò che resta è impressionante.
Dopo il tomografo arrivarono, in sequenza più meno rapida, un’ambulanza completamente attrezzata, la messa in valore di tre ospedali nell’Africa, la fondazione e la manutenzione del’Associazione Trapianto Rene (ATR), primo polo del genere in Italia, diretto con amorevole competenza da Antonio Vegeto fino al momento in cui il trapianto del rene è diventato un intervento di routine, diffuso in ogni regione.
Ovviamente non poteva mancare un robusto contributo alla PolioPlus, ma la grande tradizione dell’Aquileia è vissuta anche con la lotta al morbo di Buruli attraverso l’uso dell’ossigenoterapia, guidata con impressionante testardaggine e un attivismo che non è esagerato “missionario” da Francesco Poggio (che questo impegno ha ricevuto dal Distretto il primo Premio per la Professionalità.) E poi l’Ospedale nel Benin, il costante affiancamento a Casa Amica, la serie di ricoveri familiare per chi accompagna in Lombardia i parenti operati nei nostri ospedali, l’A.E.R.A., un invito a conoscere l’ambiente attraverso il Rotary. E ancora, il salvataggio e lo studio di disegni antichi della Biblioteca Trivulziana. E ancora, e ancora, e ancora.
Ma questo si può trovare in ogni Rotary. Ciò che conta, e vale più di  ogni altra cosa, è il marchio, mai mancato in ogni intervento della vita del Rotary Club Milano Aquileia, dell’amicizia, che ne permea ogni angolo e dà un valore speciale a tutta la nostra attività.

Creare amicizia per fare servizi.
Paul Harris (crediamo) avrebbe approvato.

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Di Riccardo Santoro

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